La filtrazione a freddo (in inglese “chill filtration”) è un metodo di filtrazione che rimuove vari elementi dal whisky prima dell’imbottigliamento.
Dopo la fermentazione, la distillazione e l’invecchiamento in botte, il whisky contiene una vasta gamma di composti come grassi, proteine ed esteri, alcuni dei quali sono noti come “congeneri”. Queste sostanze possono reagire alle basse temperature formando aggregati o agglomerati, causando un aspetto torbido nel whisky quando viene bevuto con ghiaccio. Questo fenomeno, noto come “Scottish mist” o “nebbia scozzese”, solitamente scompare quando il whisky si riscalda, ma talvolta possono persistere delle particelle in sospensione.
Un esempio comune di questo effetto è visibile anche nell’olio d’oliva, che diventa opaco a basse temperature ma ritorna limpido quando viene riscaldato. Tuttavia, è importante sottolineare che questo fenomeno non compromette affatto la qualità del prodotto, proprio come accade per il whisky.
La tecnica del chill-filtering consiste nel far passare il whisky sotto pressione attraverso una serie di reti metalliche a maglie strette e filtri di carta che intrappolano i residui. Per poterli filtrare meglio, il whisky viene prima raffreddato a circa 0° per i single malt e a 4° C per i blend. La temperatura leggermente più alta per i blend è necessaria a causa dei diversi cereali contenuti, i cui residui tendono a raggrupparsi e diventare visibili a temperature più alte. L’efficienza della filtrazione dipende, inoltre, dal numero di filtri e dalla velocità di filtrazione. Più lento è il filtraggio e più filtri vengono utilizzati, più impurità o congeneri vengono rimossi.
È importante notare che questa torbidezza si verifica principalmente nei whisky con una gradazione alcolica inferiore al 46% vol. I whisky con una gradazione alcolica superiore, specialmente quelli con gradazione di botte, di solito non richiedono una filtrazione a freddo.
La tecnica del chill-filtering è stata sviluppata all’inizio del XX secolo, quando il whisky scozzese guadagnava sempre più popolarità tra un vasto pubblico di consumatori. Alcuni di questi acquirenti ritenevano un difetto che il whisky si intorbidisse. Pertanto, il chill-filtering è stato adottato per risolvere questo problema “estetico” ed è comprensibile che le distillerie e i venditori siano riluttanti a rendere il loro prodotto vulnerabile all’intorbidimento, rischiando così potenziali reclami da parte di clienti insoddisfatti.
Ma esistono due facce della medaglia riguardo alla pratica del chill-filtering nel whisky. Da una parte, la torbidezza causata dagli ingredienti naturali presenti nel whisky non influenza affatto il suo gusto e aroma. Dall’altra parte, il chill-filtering rimuove alcuni ingredienti, tra cui le componenti torbate. Questo significa che, attraverso la filtrazione a freddo, oltre alle impurità, possono essere eliminati anche alcuni degli aromi desiderabili del whisky.
Delle circa 100 sostanze diverse che influenzano il gusto, la consistenza e l’aroma del whisky, un buon terzo è costituito da vari esteri, responsabili degli aromi fruttati del whisky. Un’altra ventina di sostanze sono gli acidi grassi, la cui quantità aumenta notevolmente con l’aumentare dell’invecchiamento in botte. Contribuiscono alla viscosità e alla persistenza del whisky al palato. Altri ingredienti sono acetaldeidi, che conferiscono al whisky note aromatiche come la vaniglia, la torba e il gusto di malto. La filtrazione a freddo può influenzare in modo particolare queste sostanze, eliminandone alcune.
La menzione “non chill-filtered” (non filtrato a freddo) sull’etichetta è considerata una caratteristica di qualità che indica l’originalità del whisky.
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